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La Storia

del Consorzio di Tutela del Candia dei Colli Apuani Doc

La vite. Un tralcio di vite come testimone fra le generazione della lunga avventura umana

Non è possibile, in questa pagina, fare la storia del nostro vino è forse possibile suscitare alcune curiosità, far nascere l’esigenza di saperne di più, possiamo solo ricordare che nel nostro vino c’è la forze delle braccia che domano le nostre rocce, la luce del nostro sole, del nostro mare e del nostro cielo, che si esalta rilucendo sulle candide pareti delle Apuane, i profumi di quanto riesce a fiorire sulle vette alpine affacciate al mare. C’è un osso di vite che si spoglia e si veste, che colora le primavere e l’autunno e incornicia il paesaggio. Da generazioni, per generazioni.

Parlando di vite si affronta un tema legato alla stessa origine dell’uomo, al valore simbolico che ha assunto nella nostra storia. Il vino rappresentano la sintesi di una serie di civiltà che ancora oggi caratterizzano la cultura Mediterranea. Essa costituisce il successo ininterrotto della nostra Civiltà. Il mito dice che il vitigni del Candia giungano sulle barche dei coloni Greci dall’omonimo Comune dell’Isola di Creta. Il mito trova una sua verità storica nei racconti di alcuni storici che, senza averlo provato, affermano che sul Colle dell’attuale Monte Libero, il cuore della produzione del Candia, sorgesse l’antico tempio dedicato ad Ercole, monumento riportato nella Tabula Peuntingeriana e mai collocato in un sito geografico.

L’aneddoto che più mi affascina è quello raccontato dai vecchi viticoltori del Candia da me interrogati i quali erano sicuri che in quel sito, Monte Libero, fosse anticamente situato il tempio di Ercole e successivamente la Chiesa di San Lorenzo.

I vecchi spiegavano questa loro convinzione dicendomi: “sai Emanuele ! La notte di San Lorenzo la Terra, prende la forza di Ercole, e tira a se le stelle” Ancora oggi questa motivazione mi fa rabbrividire tanto è bella e profonda.

Un Ercole ebbro sembra essere la divinità riprodotta nel frammento di una anfora vinaria ritrovata nel sito e a tal proposito non scordiamo il ritrovamento della fornace di Piazza Mercurio che dimostra una poderosa produzione di vino nel nostro comprensorio fin da prima dell’epoca romana.

La stessa edicola marmorea dei “Fanti Scritti” ritrovata nella località omonima, nel cuore dei bacini marmiferi di Carrara, che riproduce le divinità di Giove, Ercole e Liber, è strettamente legata al vino e alle sue mitiche figure di riferimento Ercole e di Liber Bacco, sotto l’impulso degli ecclesiastici la coltivazione della vigna trova un nuovo impulso.

“Fecit ecclesias et plantavit vineas” recita l’elogio di un diploma Carolingio ad un abate.

La stessa scelta dei siti su cui erigere Pievi e Monasteri considerava l’attitudine del luogo ad impiantarvi un vigneto. Ancora oggi attorno alle antiche Pievi di Luni, il vigneto ricama il paesaggio terrazzato, a costo di grandi opere di dissodamento e bonifica. Lo stesso nucleo centrale del comprensorio di produzione del Vino di Candia, situato nell’attuale località di San Lorenzo di Monte Libero, punto di confine, ma anche “centro esatto” fra le due comunità di Massa e Carrara, era sede della più antica Pieve di Massa, quella di San Lorenzo.

All’epoca dei Malaspina i vini si distinguevano in colatelli e vermigli, i primi bianchi, erano più pregiati ed appannaggio delle classi delle classi più abbienti, mentre i secondi, rossi, erano destinati al consumo delle classi sociali più povere, che trovavano nel vino quella forma di gioiosa evasione dalla fatica quotidiana.

Verso la fine dell’ottocento come ricorda il Raffaelli “ La vite è coltivata con molta cura fino all’altezza di circa 810 slm. Nelle vigne del Massese e del Carrarese si fanno eccellenti vini da bottiglia, sia bianchi che neri. Le viti si coltivano tanto a filari, quanto ad alberi ai quali si maritano, e questi sono di preferenza gli olmi, i frassini e i pioppi.vi sono molti terreni, nelle colline, coltivati esclusivamente a vigne; ed è in esse che il vino si ottiene di qualità assai superiore, sia perché esse sono generalmente più esposte la sole…”

Di Emanuele Bertocchi, storico del territorio, critico enogastronomico

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